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Disturbi d’ansia
Disturbi d’ansia

L’ansia è uno stato di attivazione dell’organismo che si innesca quando una situazione viene percepita come pericolosa, e comporta una serie di fenomeni neurovegetativi che preparano l’organismo alla fuga o all’attacco. L’ansia è quindi una condizione fisiologica che ha la finalità di proteggere dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni. Quando però è eccessiva o ingiustificata l’ansia costituisce un disturbo, che può essere anche notevolmente invalidante e che va curato.

I disturbi d’ansia sono tra le patologie più frequenti nella popolazione e, secondo l’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM 5) comprendono:

  • Disturbo d’ansia da separazione
  • Mutismo selettivo
  • Fobia specifica
  • Disturbo d’ansia sociale
  • Disturbo di panico
  • Agorafobia
  • Disturbo d’ansia generalizzata
  • Disturbo d’ansia da condizione medica
  • Altro disturbo d’ansia specifico
  • Disturbo d’ansia non altrimenti specificato

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo e il Disturbo Post-traumatico da Stress, che nel DSM-IV-TR erano inseriti tra i disturbi d’ansia, sono stati classificati nel DSM 5 in altre sezioni. Nella nuova edizione inoltre il Disturbo di Panico e l’Agorafobia rappresentano due patologie distinte (mentre nel DSM-IV-TR l’Agorafobia era considerata una condizione che poteva o meno accompagnare il Disturbo di Panico).

La terapia per i disturbi d’ansia può essere farmacologica, psicoterapica o una combinazione di entrambe. La terapia farmacologica di tutti i disturbi d’ansia si basa essenzialmente sugli antidepressivi. Tra questi quelli più efficaci e anche i più tollerati sono gli SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina:

  • Fluoxetina
  • Paroxetina
  • Fluvoxamina
  • Sertralina
  • Citalopram
  • Escitalopram

Tutte queste molecole agiscono inibendo la ricaptazione e quindi l’eliminazione dal vallo sinaptico (il punto di congiunzione tra i neuroni) della serotonina, con conseguente aumento della quantità di questo neurotrasmettitore, che si è dimostrato altamente coinvolto sia nei disturbi d’ansia che dell’umore. Questi farmaci determinano inoltre delle modifiche a livello recettoriale che potenziano l’azione serotoninergica. Queste modifiche si verificano dopo un periodo di almeno 2-3 settimane dall’inizio della terapia e questo è il motivo per cui nella terapia con antidepressivi esiste un tempo di latenza di quasi un mese prima che inizino a fare effetto. Oltre ad agire sulla ricaptazione della serotonina gli SSRI agiscono minimamente anche su altri neurotrasmettitori e tra i vari SSRI esistono alcune differenze di affinità recettoriale che determinano di conseguenza diversi profili di azione e di effetti collaterali. Questi ultimi sono comunque in genere molto blandi e costituiti principalmente da un lieve aumento dell’ansia (gestibile con ansiolitici) durante i primi di giorni di assunzione.

Oltre agli SSRI altri antidepressivi utilizzati nella terapia dell’ansia sono i SNRI (venlafaxina, duloxetina) che agiscono sulla ricaptazione sia della serotonina che della noradrenalina.

Solo lo specialista può scegliere la molecola più adatta al paziente affetto da disturbo d’ansia in base a vari elementi che vengono valutati durante la visita psichiatrica.

In ogni caso la terapia farmacologica dei disturbi d’ansia con antidepressivi costituisce una vera e propria cura, che ha una fase iniziale in cui l’antidepressivo viene gradualmente aumentato fino al dosaggio terapeutico (non necessariamente il dosaggio massimo ma quello efficace su quel determinato paziente), una fase di mantenimento, e una fase di sospensione, in cui, in genere dopo 6 mesi-1 anno, la terapia viene gradualmente sospesa. La cura non va mai interrotta bruscamente e senza controllo medico, si rischia infatti un rebound, cioè una riesacerbazione violenta dei sintomi.

In genere la terapia con l’antidepressivo più indicato per il paziente, assunto al giusto dosaggio e per un tempo sufficiente, è risolutiva, e, attraverso il riequilibrio dei neurotrasmettitori, in breve tempo il paziente affetto da disturbo d’ansia va incontro ad una risoluzione completa dei sintomi con notevole miglioramento della qualità della vita e ritorno alle normali attività. In alcuni casi, quando l’antidepressivo, assunto a dosaggio pieno e per un periodo congruo, non è sufficiente, lo specialista può decidere di inserire in terapia un altro farmaco, ad esempio uno stabilizzante dell’umore o un neurolettico a basso dosaggio.

Per quanto riguarda gli ansiolitici (benzodiazepine), che rappresentano una delle categorie di farmaci più usati nella popolazione, bisogna chiarire che costituiscono solo un palliativo temporaneo e non una cura. Appena assunti riducono lo stato di ansia e per questo sono molto graditi dai pazienti, ma finito l’effetto l’ansia si ripresenta,  portando spesso a situazioni di abuso di questi farmaci. Molti pazienti assumono per anni benzodiazepine in maniera autonoma per gestire l’ansia, senza mai avere effettuato una vera e propria cura con uno specialista. Gli ansiolitici vengono in genere prescritti dallo specialista solo al bisogno, o comunque per un breve periodo di tempo, in quanto l’assunzione provoca tolleranza (i recettori si abituano ed è necessario un dosaggio sempre più alto per ottenere lo stesso effetto) e dipendenza (si ha una crisi d’astinenza se il farmaco viene interrotto bruscamente).

Nonostante la terapia farmacologica da sola sia in genere risolutiva sui sintomi, è sempre consigliabile l’associazione con una psicoterapia, che conduce il paziente a risalire alle motivazioni psicologiche dei propri sintomi, a gestirli, e a consolidare i miglioramenti nel tempo, riducendo il rischio di ricadute anche dopo la sospensione dei farmaci